Un pieno di idee in Aucune idée

L’interno assomiglia a quello di uno dei tanti palazzi della burocrazia. Porte che si affacciano su porte, come anche nei grandi condomini in cui, nonostante la ristrettezza degli spazi e la vicinanza obbligata degli individui, si è di solito immersi nella più totale solitudine. Un perfetto impiegato, l’imperdibile Graham Valentine, infila una di quelle porte, con il passo di chi, con ogni probabilità sottoporrà la sua pratica ad un collega. Ma, lo stesso impiegato riesce da un’altra porta per rientrare in una terza ed uscire da una quarta, finché il senso semantico di quel codice architettonico si scioglie come neve al sole. Ma niente è più distante, in Aucune Idée (Nessuna idea), dal dramma della contemporanea incomunicabilità, perché Christoph Marthaler (idea e regia), sceglie invece il registro dell’ironia per rappresentarla nelle tante umoristiche sfaccettature di un lavoro che mescola il teatro musicale d’avanguardia a quello dell’assurdo, senza istruzioni per l’uso, suscitando reazioni fra le più disparate.

“Bastaaa!”

Martin Zeller e Graham Valentine

In ogni angolo della nostra esistenza c’è un mal comune, un comune aspetto dell’incomunicabilità, che può essere “esploso” in paradosso. Come quel ladro che irrotto nell’appartamento, confida candidamente al proprietario i suoi intenti con lo stesso tono colloquiale di un vicino di casa. Il fiume di parole non attenua la comicità del colloquio fra i due. Si è così soli che anche un tentato furto passa in secondo piano? O forse, ogni volta, si parla soltanto a se stessi. Irreverenti monologhi dal sapore dada masticano sillabe che somigliano a parole intonando sfumature di senso che non c’è. E solleticando, l’irrefrenabile ilarità di un gruppo di ragazzi anglosassoni, e la malcelata rabbia di uno spettatore italiano scoppiata, sabato 12 marzo al Morlacchi di Perugia, in un “Bastaaa!” dalla platea.

Senso e non senso in Aucune idée

Ebbene, il furto del senso, o la sua categorica esclusione, almeno per una volta non lascia affatto indifferenti. E per fortuna. E che dire di quella lettera che parla da sola da una cassetta della posta riversando sul mondo un fiume violento di parole. O quei messaggi pubblicitari che si impossessano metaforicamente di ogni struttura portante svuotandola, per l’ennesima volta di senso? Fanno ridere alcuni, altri continuano ad irritarsi. Sintomo di una perfetta riuscita dello spettacolo e del duo composto dall’attore Valentine e dal violoncellista Martin Zeller. Di certo, a fare piazza pulita in questa esistenziale lotta contro l’alienazione del senso, in senso ampio, è il non senso, quello partito eroicamente dal Teatro dell’Assurdo e non ancora rientrato. È lui a rompere sistematico ogni facile luogo comune, con il paradosso che incombe, in un carosello di situazioni che giocano con le aspettative del pubblico svelando il lato comico e grottesco di tanto vivere contemporaneo. Fino ad abbattersi in una emblematica distruzione del testo. Prima fatto a pezzi e gettato in terra, poi rincollato a casaccio. La tragicomica conspevolezza che qualcosa non torna atterra comunque sul terreno soffice della musica, tra parodia e virtù. Forse perchè solo nella musica, si preserva invece quella unità di senso, latitante nel quotidiano. Lo spettacolo, anche celebrazione dell’amicizia decennale tra il regista svizzero Marthaler e l’attore e cantante scozzese Graham Valentine, è una meraviglia.