Danse Macabre, declinazioni contemporanee
Infinite possibilità di senso quando il gesto incontra il testo mettendo sotto i riflettori il percorso interpretativo in cui ogni spettatore è costretto ad inerpicarsi, in beata solitudine, alla ricerca di una univocità che è solo apparenza, almeno nell’Arte. Danse Macabre, in scena al Teatro Morlacchi di Perugia il 15 novembre scorso, sembra un invito alla coraggiosa scoperta degli elementi scenici che determinano e caratterizzano l’esperienza estetica visiva nel panorama contemporaneo. Coraggiosa in quanto sempre collegata ad un distacco, una spaccatura, una sconnessione da ciò che ci si aspettava connesso. Si parte sperimentando il violento impatto del testo, citazioni testuali proiettate a tutta parete, con caratteri che spaziano stili (dal gotico all’espressionista) sui corpi danzanti che soccombono passando in secondo piano. Ma esiste una relazione tra linguaggio gestuale e testo? Quali corrispondenze siamo in grado di intercettare? Ci interessa incamminarci nella direzione di senso che ci viene suggerita o la rifiutiamo? La domanda non è ridondante visto che, nell’oscurità della sala, qualcuno ha lasciato la platea. Segno evidente che tra i percorsi possibili c’era anche quello della provocazione. Ma interrotti i testi ecco che lo schermo determina ancora la sua relazione con la danza e si insinua nella coreografia proiettando un’immagine degli stessi danzatori, nelle stesse sequenze coreografiche, come uno specchio proveniente da un’altra dimensione, un al di là vicino, troppo vicino da non risultare parallelo.
Eppure, a dispetto della danza macabra o danza dei morti, intramontabile tema iconografico di antica tradizione riproposto da Jacopo Jenna (ideazione, coreografia, video e regia) in collaborazione artistica con Roberto Fassone, le atmosfere di Danse Macabre che nella seconda parte dello spettacolo lasciano più spazio alle coreografie, non sono caratterizzante dal tradizionale senso di inquietudine infuso dal genere, in campo letterario e cinematografico ma anche coreutico. Anzi, i quattro virtuosi danzatori (Ramona Caia, Andrea Dionisi, Francesco Ferrari e Sara Sguotti), perfetti zombie in prima linea, si muovono fuori e dentro gli spazi tridimensionali scolpiti da raggi laser e all’interno di un immaginario che oramai strizza l’occhio ad un certo gusto gotico (sempre più main stream), così radicato e presente nella cultura occidentale di tutti i tempi, come mostrano anche le citazioni testuali di numerosi brani che hanno fatto la storia della musica contemporanea (dal pop al rock passando per il grunge), da risultare domestico e addomesticabile.