Ariadne auf Naxos Fischer

Ariadne auf Naxos Festival dei due mondi

Opera lirica, Spoleto Festival dei Due mondi 67

Ariadne, il moto trasformativo dell’arte tra identità e alienazione

Piena, colorata, intensa, ludica ma intimamente tragica, grata figlia di una rivoluzione, l’Ariadne auf Naxos presentata alla sessantasettesima edizione del Festiva di Spoleto si professa paladina di quel contemporaneo degli esordi, magma del pensiero divergente, sdoganatore di sincretismi, fertile incubatore di tendenze che portò il principio della contaminazione a paradigma.

È in questo universo e con queste aspirazioni, tra tributo e professione di fede, che il raffinato pastiche, frutto della collaborazione artistica fra lo scrittore e drammaturgo Hugo von Hofmannsthal ed il compositore e direttore d’orchestra Richard Strauss si ricolloca, grazie alla coproduzione di Spoleto Festival dei due mondi e Budapest Festival Orchestra, sotto la direzione e regia di Ivàn Fischer.

Impavidi e sprezzanti del pericolo nell’Ariadne auf Naxos sfilano a braccetto gli opposti dialoganti. Per citarne alcuni, Thanatos ed Eros, l’Opera buffa ed il Poema epico, l’orchestra cameristica settecentesca ed i linguaggi musicali moderni, le maschere della commedia dell’arte e i personaggi della mitologia greca.


E già nel prologo, Il Borghese gentiluomo danzato, (Suite op. 60 ricavata da Strauss, nel 1920, dalle musiche di scena del Bürger als Edelmann) interagiscono giullari e componenti della Budapest Festival Orchestra in un giocoso scambio che trasforma la scena introducendo motivi e preparando la scenografia della Ariadne.

In un continuo moto trasformativo impregnato di atmosfere barocche, tra danza, canto lirico e trovate circensi, si andrà dispiegando poi una moderna visione di Gesamtkunstwerk, opera globale che, allontanandosi da Wagner, prende spunto dal comédie-ballet di Molière (Le Bourgeois gentilhomme) per poter continuare ad inglobare nuove interazioni.

Eppure, è Zerbinetta ad impossessarsi del registro tragico invocando solidarietà ed offrendo conforto attraverso un lungo monologo in cui risuona il tema centrale di tutta l’opera precedentemente introdotto da Ariadne: la tensione tra metamorfosi, che rischia di diventare “Entfremndung”, alienazione, e necessità di conservazione della propria identità.

Man muss sich schütteln:
ja, dies muss ich finden:
Das Mädchen, das ich war!
Jetzt habe ich’s – Götter!
dass ich‘s nur behalte!
Den Namen nicht – der Name ist verwachsen
Mit einem anderen Namen,
ein Ding wächst
so leicht ins andere, wehe!

„Occorre scuotersi, sì questo devo ritrovare: la fanciulla che ero. Ecco, adesso ce l’ho – O dei! Che io possa trattenerla! Il nome no, il nome si è attorcigliato con un altro nome, le cose facilmente mutano in altre, ahimé.”

Lo stesso dilemma è affrontato da Zerbinetta che, al contrario, si professa non solo vittima ammettendo con rassegnata accettazione, e qualche confessione piccante, la propria volubilità. Frivola, infedele, Zerbinetta distesa gioisce delle attenzioni di Arlecchino suscitando compiaciuti ammiccamenti dal pubblico e grugniti dal palco. Non stupisce, Zerbinetta del resto è vita oltre la finzione, stereotipo vivente capace ancora di suscitare compiacimento (di una parte pubblico) ed ilarità generale in quanto incarnazione di antiche e mai tramontate visioni, proiezioni sull’universo femminile, l’opposto implicito con il quale il librettista ed il compositore si confrontano. Il 30 giugno scorso, al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti, fra i tanti applausi riscossi da tutti gli interpreti, a cominciare da Emily Magee (Ariadne), Andrew Staples (Bacco) e Gurgen Baveyan (Arlecchino) ad incassare un tributo speciale dal pubblico è stata proprio Anna-Lena Elbert (Zerbinetta), complice la simpatia per il personaggio che si aggiunge alla sua indiscussa bravura.

Isabella Rossi