Intervista a Nacera Belaza

Nacera e la danza che libera

Intervista a Nacera Belaza, coreografa franco-algerina arrivata alla Rocca Albornoziana di Spoleto per una due giorni a lei dedicata – il 4 ed il 5 ottobre 2019 – nell’ambito del Festival “Rendez-Vous” di Spoleto, organizzato dall’associazione Evidanse.

L’occasione di un’intervista a Nacera Belaza, celebre coreografa franco-algerina l’hanno fornita Spoleto e l’associazione Evidanse. diretta da Carole Magnini, in collaborazione con l’Ambasciata Francese, Institut français a Roma e Francia in Scena, Teatro Stabile dell’Umbria e Museo Nazionale del Ducato-Rocca Albornoziana di Spoleto e con il Comune di Spoleto.
Cosi, venerdì scorso, nell’insolita cornice della Rocca Albornoziana, con un movimento lento ed ipnotico si è inserita la danza di Nacera, rapendo per 45 minuti il pubblico presente nel salone Antonini.

In scena è andata Le cri, L’Urlo, già presentata nell’ambito di “Monuments en Mouvements”, la rassegna dei Monuments Nationaux francesi oramai alla sua quinta edizione. Del lavoro coreografico prodotto dalla sua stessa compagnia ed interpretato da Nacera insieme alla sorella Dalila Belaza, la coreografa ha curato anche la parte video e la colonna sonora, con un montaggio musicale relativo a vari autori tra cui Maria Callas ed Amy Winehouse.

La fondazione della sua compagnia di danza, Compagnie Nacera Belaza, risale al 1989. Da allora tanto lavoro e nel 2015 la nomina di Chevalier de l’ordre des Arts e des Lettres, ricevuta dal ministero della cultura francese. Un atto importante che certifica d’altro canto l’ampia attività della compagnia i cui lavori vengono presentati regolarmente non solo in Europa ma anche in Africa, Asia e Nord America. Ed in Algeria, dove Nacera ha fondato una cooperativa artistica.

Intervista a Nacera Belaza

Dopo gli applausi e l’entusiasmo palpabile del pubblico in uscita da sala Antonini, i tecnici iniziano il loro lavoro e non c’è molto da attendere prima che appaia Nacera insieme a sua sorella, subito accolte da un gruppetto di fan. Poco dopo, in un angolo poco distante della sala, la nostra intervista a Nacera Belaza può finalmente cominciare.

Cosa ha inspirato “Le cri”?

Le cri, L’urlo, è stata scritta nel 2008 perché nel 2003 e 2004 ho incontrato un po’ di persone appassionate di questa danza tradizionale. Non erano danzatori si ritrovavano e basta facendo quel movimento di bilanciamento laterale. Che mi ha molto intrigato e quando ho visto questo gruppo di danza tradizionale a Parigi, ho notato che il pubblico era come ipnotizzato. Così ho iniziato ad osservarlo e a studiare molto le danze tradizionali algerine ed in particolare il rapporto tra la danza ed il pubblico.

Nacera e Dalila Belaza in “Le cri”

E la danza Sufi…

No, non è danza Sufi, sono danze tradizionali (algerine). Quindi quel movimento di bilanciamento è molto frequente. E’ un movimento che unisce le persone che le mette in relazione fra di loro. Un movimento che riesce a far abbandonare tutto il lato mentale. Perciò quando ho lavorato a questo coreografia mi sono concentrata su quel movimento e l’ho fatto crescere. E questo è il motivo per cui il lavoro si sviluppa in crescendo. E’ una cosa molto intima che ho potuto osservare in queste danze tradizionali e crea un legame. Ed è questo l’elemento che ho voluto trasporre nella mia scrittura.

E’ stato interessante partecipare a Monuments en mouvement?

Si, abbiamo danzato molto. In Francia il Centro dei monumenti nazionali (istituzione pubblica collegata al Ministero della cultura e della comunicazione) autorizza la danza ad entrare nei monumenti nazionali (che sono beni parte del patrimonio culturale nazionale) e noi abbiamo danzato due anni fa nel Pantheon e dentro i chiostri delle chiese come nel chiostro di Psalette a Tours. Ritengo che danzare in questi monumenti, in questi spazi, dia accesso ad una dimensione molto più ampia, molto più importante. Sono luoghi storici importanti e imponenti e portano direttamente al cuor dell’essere. E tutto ciò permette al corpo, all’essere di entrare in un’altra dimensione e di svilupparsi diversamente da quello che succede normalmente in una scatola nera, come può esser un teatro.

E’ importante sapere cosa è accaduto in questi luoghi?

Si ad esempio per questo luogo mi sono affidata a Carole (Magnini) E’ un luogo importante e c’è un lungo corridoio da dove arriviamo alla platea. Al Pantheon (di Parigi) il pendolo sta proprio al centro. Carolyn Carson ha scelto di danzare sui lati, noi invece abbiamo preferito il centro. E qui alla Rocca (Albornoz) questo corridoio ci porta alla platea e funziona abbastanza bene. Spoleto è magnifica. Adesso ci sono luoghi che mi ricordo bene perché propongono spazi immensi e tanta prospettiva, come ad esempio a Spoleto la piazza del duomo. Mi piacerebbe molto danzare li. E sì, ci sono spazi magnifici che la danza può occupare.

Quanto conta l’identità mediterranea nel suo lavoro coreografico?

Quando lavoro ho bisogno di non pensare al contesto europeo e mediterraneo. Dopo ci sono componenti che mi influenzano come l’essere nata in Algeria e averci vissuto. Il mio modo di vedere le cose è impregnato di tutto questo. Poi però ho anche un modo molto cerebrale di intendere il lavoro, perché ho studiato anche in Francia. Ci sono allora questi due aspetti e spesso la gente mi dice che il mio lavoro è ancestrale e concettuale, arcaico e astratto. Cioè, ci son le radici e una scrittura contemporanea molto astratta.

Credo di amare molto questo posto (il Mediterraneo). Ha radici molto profonde, però non c’è niente di aneddotico, penso che sviluppi e lavori di più l’immaginazione. Mi hanno fatto spesso questa domanda perchè ci si aspetta che un’artista parli e racconti quello che è anche nelle problematiche che incontra. Tuttavia, spesso il punto è questo: io sono una donna algerina, a me quello che interessa nell’arte è parlare della libertà dell’essere umano. Della condizione della natura umana in generale. Non mi interessa parlare di me e della mia storia. Solo così raggiungo quella dimensione universale che darà poi la sensazione al pubblico di liberarsi. E questo è molto importante.

Che ruolo ha la natura?

La natura e l’interiorità per me sono la stessa cosa. In realtà quando si guarda la natura, il mare, quello che si vede è l’interiorità stessa dell’essere umano. Quello che provoca tutti i movimenti dell’animo umano è l’interiorità. C’è una comunione in quello che c’è davanti a noi e ciò che trasforma la nostra interiorità. E per me c’è un legame intimo tra gli elementi esterni e quello che succede dentro di noi.

IR

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