danza contemporanea
Chotto Desh, non geolocalizzabile
Nella vita di un’artista, e in quella di molti viaggiatori di questo e altri mondi, la parola patria può acquisire diverse coordinate, smarcandosi da una collocazione univoca. Così Otto Desh, la “piccola patria” di Akram Khan, il 25 e 26 ottobre scorsi al Morlacchi di Perugia, è uno spazio introvabile sulle cartine e geolocalizzabile solo attraverso le coordinate del cuore.
Come in una fantasmagoria, la piccola patria è infatti un mondo magico che dischiude scenari avventurosi e inaspettati dove la natura è sovrana, la poesia principio ed il pericolo, legge. Una vibrante coreografia, eseguite a Perugia con grande forza espressiva da Nicolas Ricchini, lo attraversa rendendo il corpo potente e fragile strumento delle emozioni.
Ma il viaggio è necessario, perché porta a non una, ma a numerose scoperte. Strada facendo, le forme del passato si proiettano nel presente rendendo leggibile la loro autentica natura.
Su pensieri e azioni, emerge allora un padre “interiore”, abilmente inscenato come maschera ricavata dal cranio. C’è anche uno spazio sacro, forse dimenticato, che riafferma qui il suo inesauribile potere catartico.
Il viaggio nelle memorie dell’infanzia è anche, e soprattutto, un ritorno.
Chotto Desh è un’opera complessa, resa leggera, come tutti i capolavori, dal talento di Khan, da un sapiente lavoro di squadra e da un’attenta tessitura tra vissuto e finzione (con storie tratte da Il cacciatore di miele di Karthika Nair).
Adattamento della versione originale “Desh” curato da Sue Buckmaster, portato in scena sotto la direzione artistica di Akram Khan, anche autore della coreografia originale, lo spettacolo mette insieme danza, mimo, teatro e proiezioni animate, realizzate da un apposito team di esperti, con musiche composte da Jocelyn Pook, offrendo allo spettatore un viaggio nelle latitudini dell’anima.
Isabella Rossi