Donne e body shaming

Donne e body shaming? L’esempio di Giovanna Botteri

Donne e body shaming? Il caso Botteri insegna. Pace fatta, anzi nessuna pace è necessaria tra Michelle Hunziker e Giovanna Botteri. “Per fortuna non dobbiamo fare la pace perchè non c’è mai stata baruffa”, questa la risposta arrivata il sette maggio in un video da Pechino della corrispondente rai sul caso montato intorno alla puntata del tg satirico di Canale 5 intitolata i Capelli di Giovanna Botteri, dove nell’ultimo frame del servizio la giornalista appare immersa in una fumettistica vasca da bagno con doccia, sulle note di Shampoo di Giorgio Gaber.

Gli attacchi dalla rete e la polemica

Ma nonostante la poce tornata, la polemica c’è stata. Quale polemica? Quella che ha travolto sui social Michelle Hunziker ed il tg satirico Striscia la notizia accusato, in buona sostanza, di aver recato offese all’immagine della giornalista. Sarà pure pacifico, che Striscia non è di certo il primo né l’ultimo programma satirico ad ironizzare sull’aspetto di personaggi televisivi. Ma stavolta l’ironia non è piaciuta affatto in rete generando reazioni di hater che hanno preoccupato anche Tomaso Trussardi, sceso in campo in difesa della moglie Michelle. Da lì l’appello ad intervenire rivolto a Botteri, il tre maggio scorso, partito da una Michelle in tenuta casalinga. Appello nel quale la conduttrice chiariva la falsità delle accuse ricevute (“fake news”) sottolineando la bontà del servizio di Striscia intenzionato, se mai, a rispondere agli attacchi già ricevuti dalla giornalista.

Donne e body shaming, il problema non è la satira

La risposta all’appello di Michelle è arrivata con un video in cui la popolare giornalista rai ha chiarito una volta per tutte che non c’è bisogno di fare pace perchè il problema non si pone e non si è mai posto, per lei. Anzi, al contrario. Un ringraziamento è andato alla satira “perchè aiuta” a riconoscere modelli di donne e di uomini e a metterli a confronto. Insomma, lontana dal sentirsi attaccata dalla satira o dal body shaming esploso in rete, Giovanna ha dato una risposta esemplare, sia come donna che come giornalista, mettendo il dito su una vecchia piaga italiana (televisiva e non solo). La questione è quindi questa: quali modelli di uomini e donne propone la tv nel nostro paese? Perchè la non adesione a tali modelli può provocare fenomeni di body shaming che hanno come bersaglio proprio le donne?

L’omologazione è imposta o volontaria?

Il lavoro in tivù, sotto i riflettori, impone alle donne canoni ben precisi? Certo, ben sappiamo che esiste il timore che la non adesione a quei canoni di bellezza (soprattutto femminili) possa essere per una donna in carriera, che mostri i segni dell’età e magari qualche rotondità, motivo di esclusione dalla tivù mainstream, causa di una sua eventuale caduta nell’ombra o, addirittura, della perdita del posto di lavoro. Quel timore, infatti, lo intuiamo dai frequenti ritocchi estetici, a volte ben visibili, che vediamo anche in conduttrici o giornaliste, e dal tipo di inquadrature che vengono effettuate sui loro volti ed il loro corpi, più o meno filtrati.

Donne in tivù: vietato mostrare la vera età

Ma poi ci sono i fatti. Uno fra tutti: la scarsa presenza in tivù di donne normali, che mostrano fieramente i segni della loro maturità fisica e professionale. E che non per questo devono perdere il diritto di rimanere nei posti al sole, faticosamente conquistati, di una tivù onnipresente nella vita degli italiani. Per fare un esempio. Dov’è la corrispondente femminile di Pippo Baudo, o di Mike Bongiorno, entrambi rimasti in tivù ben oltre l’età pensionabile? Perchè i volti di alcune sessantenni che accompagnano i pomeriggi e le sere degli italiani non mostrano nessun segno della loro età? Al contrario di quello di Andrea Purgatori, un giornalista e grande professionista la cui permanenza in tivù non potrebbe mai essere messa in discussione da qualche segno del passare degli anni.

Il ritorno delle donne normali

Non è per questo che quell’omologazione ai modelli, più o meno sottilmente imposta, diventa una specie di conditio sine qua non per lavorare nel mondo dello tivù? Anche quando il lavoro scelto è quello di giornalista o conduttrice televisiva? Pensando a tanta artificiosità che vuole coprire, mascherare e ridurre a costanti omologate un intero universo femminile, privandolo di una vera rappresentanza, ci sentiamo stranamente fiduciose. Viene in mente, infatti, che tale universo non solo esiste, dall’altra parte dello schermo, ma che è sempre più vario e sempre più incisivo nella vita quotidiana. E che l’artificio televisivo, in questo terribile momento di pandemia da Corona virus, si sta sgretolando piano piano. In tivù nelle dirette quotidiane sono apparse, come per magia, donne speciali con volti normali. Certo, sempre poche ma la loro presenza ha spezzato già in parte l’illusione preconfezionata e forzosamente alimentata.